Incontriamo il comico milanese che ritorna alla scrittura con un insieme di poesie, monologhi, aforismi e battute, ma anche con una riflessione sul 'ridere' in tutti i suoi aspetti.
Un omaggio alla battuta, alla sorpresa, alla forza dissacrante della scrittura breve, questo è Catartico! (Salani Editore), il nuovo libro con cui l’attore e musicista Flavio Oreglio festeggia i suoi primi trent’anni on stage. Maestro della sintesi, adulatore delle abbreviazioni e corteggiatore di acronimi, Oreglio ha fatto della brevità la sua arte e ne dà prova in “Catartico!”, composto da scritti piccolissimi, in parte inediti, e di grande efficacia comica, giocando sull’elemento-sorpresa, l’essenza dell’arte del ridere. Non solo risate nel nuovo libro dell’attore, ma anche una riflessione sull’arte del sorriso, con un capitolo intitolato “Discorso sul metodo comico”, perché -come egli stesso afferma- «ridere è una cosa seria».
Nel tuo nuovo libro apprendiamo che sei stato l’inventore del neologismo «cortigrafia», ribattezzato per l’occasione «brev art». Ci puoi spiegare meglio in cosa consiste?
La «brev art» è la scrittura breve, che non si significa assolutamente brevità di scrittura. La «brev art» è un tipo di scrittura difficile, che richiede molto tempo per essere elaborata. Nel libro infatti è citata una frase, attribuita ora a Voltaire ora a Mark Twain, che dice: “Non ho tempo di scriverti una lettera breve, di conseguenza te ne scriverò una lunga”. Ecco, questa affermazione spiega bene il concetto. Inoltre la «brev art» calza a pennello con i tempi di oggi: fra twitter, messaggini e la stessa televisione, la brevità è d’obbligo.
Anche se nel libro dici che la scrittura breve non è nata oggi?
Assolutamente no, risale agli antichi greci e ben si presta oggi ai cambiamenti nel modo di comunicare.
Restando sulla «cortigrafia», le tue battute sono brevi ma efficaci e nascondono sempre una sorpresa nel finale. Come avviene il tuo processo creativo?
Paradossalmente a me è accaduto di iniziare la carriera con una modalità espressiva che consisteva in un lungo monologo e poi nel cantare una canzone. Quando sono arrivato in televisione, a Zelig, tale modalità non si adattava ai tempi e alla logistica di quel mezzo di comunicazione, quindi mi venne l’idea di fare un gioco di scrittura breve: presi il monologo e lo spaccai in piccole parti. Ecco la nascita della mia scrittura breve.
A proposito di carriera, sei nel pieno dei festeggiamenti dei tuoi 30 anni on stage. Come è cambiato il cabaret dai tuoi esordi ad oggi?
Ti dico questo: da anni porto avanti un progetto, Musicomedians, che punta alla riscoperta delle origini del cabaret, perché quello che vediamo oggi in televisione o altrove non è il suo spirito originario. Quello che passa è uno strano coacervo di avanspettacolo, animazione da villaggio, varietà, burlesque. Oggi serpeggia l’errata idea che il cabaret sia la comicità, mentre invece la comicità è basata su tanti spettacoli diversi. Il cabaret è poesia, canzone d’autore, contaminazione di linguaggi. Convinto di tutto questo, ho dato vita al “Circolo dei poeti catartici” che ha sede nel Castello Malaspina di Brallo di Pregola, nel pavese, dove appunto cerco di proporre un cabaret nella sua vera natura.
Ti cito testualmente: “I comici non sopportano le stupidità del mondo e si incazzano. Qual è la
stupidità di oggi che ti fa incazzare?
Tutte le storture, per esempio le guerre, le differenze sociali, l’inquinamento. Tutti elementi della stupidità dell’uomo. Il problema non è non tanto per chi esercita la stupidità, ma per chi ne subisce il fascino. I comici sublimano la loro incazzatura attraverso l’arte della risata. Io sono diventato un comico per non finire terrorista.
Contemporaneamente al libro, ha preso il via anche un tour teatrale. Che cosa riserverai ai tuoi spettatori?
Porterò in teatro i contenuti del libro. Nella fattispecie lo spettacolo oltre a parlare della «brev art», è collegato all’appendice del libro ossia al “discorso sul metodo dell’attore comico” che è anche il titolo dello spettacolo. Porto in teatro un ragionamento sul ridere, che non è solo la comicità, e mi scaglio anche contro l’abuso della parola comico.
E ora, giunti alla fine, rivelaci qual è il tuo aforisma preferito.
Ovviamente uno dei miei. È un aforisma particolare perché ha una premessa e due chiuse, anziché una come di consueto. Recita così: quando l’ho conosciuta ho toccato il cielo con un dito, ma lei con due sberle mi ha fatto capire che non era il cielo quello che avevo toccato. Allora le ho detto: “Se è per quello non era nemmeno il dito”.